Perché la curiosità conta

Perché la curiosità conta

Qualche mese fa la prestigiosa Harvard Business Review ha pubblicato una serie di articoli sull’importanza della Curiosità nel business moderno. Li ho letti con molta attenzione perché una delle potenzialità che mi contraddistingue è proprio la curiosità e ne sono sempre stato un grande fautore nelle persone e nelle aziende.

Coltivare la curiosità a tutti i livelli aiuta i dirigenti e i loro dipendenti ad adattarsi alle condizioni di mercato incerte e alle pressioni esterne: quando la nostra curiosità si innesca, pensiamo più profondamente e razionalmente alle decisioni e creiamo soluzioni più creative.

Se è vero quindi che la curiosità conta, quali strategie può adottare il leader per favorire lo sviluppo della curiosità nella propria organizzazione?

Dare l’esempio

Il primo modo è quello di dare l’esempio: se il leader stesso dimostra curiosità, i follower sono portati ad imitarlo. Spesso, infatti, non facciamo domande perché abbiamo paura di essere giudicati incompetenti, di non essere all’altezza del compito: fondamentalmente perché non vogliamo mostrare la nostra fragilità. Inoltre, quando le persone salgono la scala organizzativa, pensano di avere meno da imparare: i leader tendono anche a credere che dovrebbero parlare e fornire risposte, non fare domande.

Ma queste paure e convinzioni sono fuori luogo, come mostrano ricerche recenti. quando dimostriamo curiosità verso gli altri facendo domande, le persone ci considerano più competenti e l’accresciuta fiducia rende le nostre relazioni più interessanti e intime. Facendo domande, promuoviamo connessioni più significative e risultati più creativi!

Questo si può estendere fino ad abbracciare una cultura aziendale basata sulla curiosità e la fiducia. Nella Pixar, per esempio, poiché i successi passati possono inibire le persone a mettere in dubbio le scelte aziendali, il Presidente del gruppo parla spesso anche degli insuccessi della Compagnia per sottolineare che nulla è perfetto e che il processo creativo passa attraverso il coraggio di mettere in discussione lo status quo.

Concentrarsi sull’apprendimento più che sul risultato

Quando diamo obiettivi ai nostri collaboratori non dobbiamo dimenticarci che se si concentrano troppo sul risultato anziché sulla performance personale rischiano di vivere la sfida con stress e quindi rendere di meno.

Alcuni studi hanno dimostrato che i professionisti delle vendite che erano naturalmente focalizzati su obiettivi di rendimento (raggiungere gli obiettivi ed essere visti dai colleghi come bravi nel proprio lavoro), hanno fatto peggio durante la promozione di un prodotto rispetto a rappresentanti che erano naturalmente concentrati su obiettivi di apprendimento (come ad esempio esplorare come essere un venditore o consulente migliore).

Molte ricerche dimostrano che inquadrare il lavoro attorno agli obiettivi di apprendimento (sviluppare o acquisire competenze, padroneggiare nuove situazioni e così via) piuttosto che obiettivi di performance (raggiungere gli obiettivi, dimostrare la nostra competenza, impressionare gli altri) aumenta la motivazione. E quando siamo motivati ​​da obiettivi di apprendimento, acquisiamo le competenze più diverse, lavoriamo meglio, otteniamo voti più alti, miglioriamo le attività di problem-solving e miglioriamo nello sport. Sfortunatamente, le organizzazioni spesso danno la priorità agli obiettivi di rendimento: peggiorano così i risultati e rendono difficile il clima aziendale, col rischio di perdere le risorse migliori.

Il leader può aiutare i follower ad adottare una mentalità focalizzata sull’apprendimento comunicandone l’importanza e premiando le persone non solo per le loro prestazioni, ma per l’apprendimento necessario per arrivarci. Alcune aziende già lo fanno: non è fantascienza!

Coltivare interessi diversi

Le organizzazioni possono promuovere la curiosità dando ai dipendenti tempo e risorse per esplorare i propri interessi.

Ma senza arrivare a tanto, un modo molto intelligente per favorire la curiosità è quello di permettere ai dipendenti di “viaggiare” tra i reparti dell’azienda provando che cosa significa svolgere il lavoro di un altro collega con un ruolo completamente diverso. Per esempio, un dipendente del comparto amministrativo potrebbe affiancare per un giorno un collega del reparto vendite e viceversa. Questo allenerebbe la curiosità e favorirebbe anche la coesione in azienda!

Allo stesso modo, per il leader costruire team variegati con interessi e culture molto diversi può essere inizialmente faticoso, ma alla lunga può rappresentare un elemento di crescita e di maggiore creatività.

Allenarsi a fare domande

Ho un bimbo di due anni, e una cosa che mi colpisce molto è il suo straordinario bisogno di conoscere, di capire, di collegare, di dare spiegazioni fuori dagli schemi. Il mio piccolo non ha mai paura di fare domande e non si preoccupa se gli altri credono che dovrebbero già conoscere le risposte, anzi le risposte non gli bastano mai.

Lo ammiro molto per questo. Quando siamo adulti, spesso perdiamo questa curiosità e la creatività che ne deriva.

Il leader deve aiutare i follower a fare domande e favorirle. È ormai storia il metodo dei Cinque perché Toyota. In Toyota, per ogni problema che si presenta, si pongono 5 domande una dietro l’altra per approfondire sempre di più la questione fino al punto di arrivare alla radice del problema.

Una delle domande che un coach spesso fa al proprio cliente che ha elaborato una serie di opzioni o di soluzioni è: “E oltre a questo?”.

È un metodo potente, che permette di esplorare in profondità tutte le soluzioni possibili, anche le più impensate.

 

In molte organizzazioni la curiosità viene implicitamente sfavorita in quanto viene vista come un pericolo per gli equilibri interni, per il quieto vivere, in definitiva per la gestione delle persone. Ma i leader più efficaci sono quelli che favorendo la curiosità, aumentano di gran lunga la performance dei propri collaboratori e del team.

Antonio Sanna

Business Coach, Formatore

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