Perchè alcuni non stanno a casa? Colpa della "Reattanza"  | Humanev®

Perchè alcuni non stanno a casa? Colpa della "Reattanza" | Humanev®

Ma che sta succedendo?

Nelle ultime settimane, esperti di salute pubblica e politici monopolizzano i media implorando le persone di rimanere a casa ed evitare assembramenti.

Siamo letteralmente inondati di messaggi sulla gravità della situazione, eppure non mancano segnalazioni di persone che non rispettano le ordinanze e prendono tranquillamente denunce.

Non facciamo altro che leggere che “c’è ancora troppa gente in giro”.

Non sono affatto stupito, nonostante la dichiarazione da parte dell’OMS di pandemia globale, le persone si mostrano sprezzanti di fronte alle chiare istruzioni dei migliori scienziati ed esperti di sanità pubblica del Paese.

Come scienziati comportamentali ci siamo confrontati a lungo tra colleghi e abbiamo collegato il tutto alle nostre vecchie e care teorie psicologiche relative alla cosiddetta reattanza, un concetto introdotto da Jack Brehm nel 1966.

Nelle parole di Brehm, la reattanza psicologica si riferisce all’idea che – quando le libertà individuali sono ridotte o minacciate di riduzione, le persone tendono ad essere motivate a riguadagnare quelle libertà – .

In poche parole, quando mi dici cosa fare, una parte di me si sente obbligata a fare il contrario.

Spesso infatti quando qualcuno ci dice come comportarci, sentiamo la nostra libertà minacciata e siamo portati non solo ad ignorare il consiglio, ma potremmo essere inclini ad un comportamento che va contro ciò che viene suggerito.

E mentre è sempre più necessario comprendere le differenze culturali in questo settore, è possibile che nei paesi occidentali, che difendono la libertà personale come una virtù, le persone possano essere più predisposte a comportamenti “di reattanza” rispetto ad altri.

La Reattanza oggi è mortale!

Eppure, in questo momento, la reattanza è mortale. Il consiglio di esperti di sanità pubblica di lavarsi le mani, stare in casa, cancellare eventi anche per piccoli gruppi e rispettare quella distanza sociale di almeno un metro, si basa su una combinazione di scienza e molta attenzione su un virus mortale di cui ancora non sappiamo molto.

La reattanza psicologica è anche aggravata da una serie di altri fattori, tipici del momento storico che stiamo vivendo:

In primo luogo, negli ultimi anni abbiamo notato una crescente antipatia nei confronti della competenza e dell’intellettualismo, come se la semplificazione fosse la nuova strada da seguire.

Abbiamo portato avanti, e probabilmente lo stiamo ancora facendo, una cultura che premia più l’apparire dell’essere, finendo col dare ascolto sempre più a chi la dice più grossa, a chi alza più la voce a chi la spara più lontana a chi ha più luci puntate sul viso o chi pontifica davanti a gruppi di adepti.

Da questa modalità non si sta salvando nessuno e siamo tutti colpevoli e vittime allo stesso tempo, inclusi i cluster di medici (virologi in prima linea pronti ad accusarsi a vicenda negli ultimi giorni), politici (“che te lo dico a fa”), e semplici cittadini con facoltà di intelligere e tanta voglia di visibilità.

É la a prima cosa che dovrebbe cambiare nell’occidente una volta superato questa drammatica fase.

Dall’altra parte, sempre più spesso, gli esperti sono le élite culturali che guardano con snobismo il cittadino comune. Questo rende la reattanza un modo conveniente per attaccare  quell’élite che nel parere comune “sta cercando di soffocare la nostra libertà”. Questo tuttavia non fa altro che dare spazio alle controculture che francamente ci stanno sfiancando.

Un Virus Sociale

Il coronavirus è alimentato da un altro virus sociale che ha messo radici nella nostra società negli ultimi anni: la disinformazione.

Con i social media in particolare pieni di informazioni che supportano qualsiasi tipo prospettiva sulla crisi in corso, ovvero troviamo informazioni pseudo-fondate su un’argomentazione, ma anche il suo contrario, le persone sono portate a seguire solo ciò che preferiscono, considerando solo un punto di vista.

Quindi cosa possiamo fare per l’effetto dannoso della reattanza?

In primo luogo, possiamo divenire più consapevoli chiedendoci se stiamo rispondendo alle direttive basandoci su logica e consapevolezza o solo su pura reattanza.

In secondo luogo, dobbiamo pensare collettivamente al modo migliore per inquadrare l’adesione alle direttive degli esperti come una norma sociale che deve essere seguita.

Terzo, dobbiamo liberarci dall’idea di avere un’agentività completa in questa situazione, perché stavolta il tutto non dipende solo da noi come individui, ma siamo ora più che mai interdipendenti.

Il virus non è un essere sociale, è un’entità biologica. Non possiamo farcela essendo “duri” o “intelligenti”, né possiamo semplicemente fare affidamento sulle cure mediche che saranno disponibili se ci ammaliamo, perché  (perdonate il gergale) “per come siamo messi”, non è automatico che avremo diritto alle cure immediate ed ospedalizzate.

Come ci fanno notare,  è probabile che presto le strutture mediche vengano sopraffatte e potrebbe verificarsi una situazione in cui le cure debbano essere razionate e dedicate a coloro che hanno più bisogno o che hanno maggiori probabilità di sopravvivere al COVID-19.

É davvero ora di ascoltare gli esperti e la scienza; dopotutto, sono la ragione per cui il mondo ha resistito alle varie epidemie in passato.

Per quanto sia difficile da ascoltare, la libertà personale e l’illusione del libero arbitrio devono fare un passo indietro se vogliamo salvare delle vite durante questa pandemia.

 

Davide Etzi

Psicologo del lavoro e delle organizzazioni, Economista aziendale, Executive Coach PCC ICF –  Founder di Humanev® (Persone, Processi e Profitti, per essere umani ed evoluti)

Ci vediamo su LinkedInhttps://www.linkedin.com/in/davideetzi/

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