Risignificare un’esperienza e trarre il massimo per te: l’inizio di un importante processo trasformativo | Humanev®

Risignificare un’esperienza e trarre il massimo per te: l’inizio di un importante processo trasformativo | Humanev®

Durante le meravigliose interazioni umane social, che ultimamente si stanno intensificando grazie alla spinta gentile di una persona che ringrazierò sempre, che mi ha portato a riaprire il profilo Facebook, mi sta capitando di ricevere apprezzamenti che richiamano spesso il termine “insegnamento”.

A seguito di questo ho scritto più volte che “non voglio salire in cattedra”, e di essere talvolta critico nei confronti di chi “pontifica” e “prende tutto lo spazio”.

Non sono mai riuscito a stare dietro una cattedra, ho sempre avuto delle difficoltà, e anche di recente, quando capitava di tenere una lezione con studenti, una sessione di team coaching in azienda, o una formazione per lavoratori,  piuttosto giravo per l’aula ed interagivo da vicino con le persone con cui condividevo l’esperienza.

Alcuni dei vostri feedback in particolare mi hanno portato a pormi la domande sul perché dico spesso che “non voglio stare in cattedra”, rischiando perfino di risultare dogmatico al contrario.

Ed è da qui che mi nasce il bisogno di rendermi vulnerabile e condividere il vero motivo.

Ed il vero motivo è che devo tutto ad un piccolo trauma che adesso vi racconto:

esame di maturità, orale.

Ero il primo dei candidati ad essere sentito, era il 30 Giugno, nessuno ancora era passato dalle forche caudine della commissione d’esame.

La mia insegnante mi avvisa poco prima tra i corridoi, che le aspettative erano alte perché il mio tema di italiano risultava essere ben posizionato nella rosa dei maturandi, argomento: “Etnie, culture e antropologia”.

Mi presento davanti alla commissione portando come prima materia italiano.

Mi siedo. Il commissario, età avanzata, occhio vivace ed espressione severa, con una leggerezza che un pugno dritto sullo stomaco sarebbe stato meno fastidioso, mi fa la prima domanda:

“Secondo lei chi sono i classici da cui si sono formati i nostri maggiori letterati?”.

Sia chiaro, mi reputo molto ignorante di base in letteratura, forse neanche oggi saprei con precisione rispondere a quella domanda.

Ho ancora nitido il ricordo della mia implosione cerebrale, del panico, della sudorazione, dei miei migliori amici che mi avevano accompagnato e che sedevano proprio dietro le mie spalle; del silenzio assordante di quel momento, della mia insegnante che puntava sulla bella figura, del mio pensiero fisso sulla delusione degli insegnanti, degli amici, della mia famiglia.

Ma soprattutto ho ancora nitido il ricordo della delusione per me stesso: pomeriggi buttati a studiare, con colleghi, amici e amiche.

Vedevo tutto infrangersi nei 30 secondi più lunghi della mia giovinezza.

E quindi?

Non sapevo davvero come uscirne, la scelta era tra l’alzarmi ed andare, o permanere in quello stato catatonico.

Il mio cervello si rifiutava di pensare di pronunciare quelle parole magiche che avrebbero potuto sbloccare la situazione;

perché c’era troppo studio e sacrificio dietro, c’era un esame di ammissione all’università che mi attendeva a settembre a Milano, c’era un’estate da vivere spensierato.

Quindi la frase magica “NON LO SO”, proprio non riuscivo a pronunciarla.

Tutto questo impasse è durato più o meno 30 secondi

(provate a contarli immaginandovi davanti ad una commissione: sono infiniti!).

É quello che è accaduto dopo che ha cambiato tutta la prospettiva.

Il commissario con espressione severa, si alza dalla cattedra, prende la sua sedia, si viene a posizionare accanto a me, fianco a fianco.

Mi guarda ed esclama: “Intendevo, ad esempio, Manzoni, secondo lei, da chi ha imparato le cose che scriveva. Chi ha scritto i libri che leggeva?”

e aggiunse: “me lo racconti come se lo stesse raccontando al suo nonno che non conosce nulla di questo tema e si senta libero di dire tutto quello che vuole, con il patto che dobbiamo rimanere sul perimetro della letteratura italiana”.

Non so descrivervi bene la sensazione, ho sentito il petto aprirsi, il respiro calare, e una sorta di voce inconscia che mi comunicava che quella persona che avevo davanti, lui e solo lui, si fidava delle mie capacità, le stava vedendo, le aveva riconosciute, nonostante il mio mutismo.

Ne nacque una delle conversazioni più belle di letteratura che abbia mai affrontato in vita mia, forse l’ultima, sicuramente tra le prime, oltre alle capocciate che ci davamo su Ugo Foscolo, io e la mia amica Emilia mentre ci approcciavamo allo studio per la maturità (Emilia se stai leggendo stai sicuramente sta ridendo)

In effetti fu l’ultima, perché della letteratura me ne innamorai proprio durante l’esame di maturità, insomma, proprio quando cominciai a studiarla seriamente, e poi non ebbi più l’occasione di approfondirla come avrei voluto, perché i miei studi universitari proseguirono in ambito economico e di gestione d’impresa nella prima fase della mia giovinezza, e successivamente in ambito psicologico, del lavoro e delle organizzazioni, in una fase più matura.

L’esame andò benissimo, ma ebbi uno dei primi insight migliori della mia vita.

Di quegli apprendimenti che poi ti rimangono e si consolidano nel tempo.

Cos’ha fatto quest’uomo straordinario, che ricorderò per tutta la vita?

Mi ha semplicemente aiutato a cambiare prospettiva, cambiando lui stesso la sua, di prospettiva;

Mi ha indirizzato in una nuova posizione percettiva, è sceso in campo con me, mi ha affiancato e mi ha supportato mentre tiravo fuori tutte le mie risorse, quelle che possedevo con una certa sicurezza, non enfatizzando più di tanto i punti di debolezza, non andando a scavare nel mio disagio e nel mio dolore del momento.

Avevo proprio l’impressione di trovarmi davanti ad un grande alleato, ad uno sconosciuto che però faceva il tifo per me.

Un insegnante?

No, non mi stava insegnando niente, stava facendo tutt’altro lavoro.

E chi avrebbe mai detto che dopo quasi 27 anni l’azione empatica di quel docente avrebbe contribuito in modo così potente a sviluppare uno dei miei strumenti preferiti di lavoro?

Chi avrebbe mai immaginato che mi sarei trovato a fare qualcosa di estremamente allineato a quella azione, nella mia quotidianità professionale, ma non solo?

Il lavoro con le persone, lavoratori, professionisti, imprenditori, con chiunque desideri sbloccare risorse, energie da investire, progetti da realizzare e risultati da concretizzare.

Quanto è importante anche solo il risignificare quell’esperienza che abbiamo vissuto come un piccolo trauma, trasformarlo in insight e quindi in apprendimento,

Quanto crea valore riguardare a quell’esperienza e chiederti intimimamente cosa te ne potrai fare nel futuro, per creare qualcosa di bello, funzionale e utile per te?

So bene che quando si tratta di esperienze negative diventa difficile stare concentrati sugli aspetti positivi, senza perdere l’oggettività del contesto, per attraversare la tempesta.

Ma è anche vero che la tempesta, generalmente, sia che tu la attraversi con lo sguardo rivolto al positivo, sia che tu la attraversi avvolto dalla disperazione, prima o poi passa.

E quando passa e non hai colto gli aspetti utili e positivi che ti potrai portare nel futuro, avrai l’impressione di aver vissuto meno, di aver vissuto male.

Allora lo ribadisco: non insegnerò niente a nessuno e non starò dietro ad una cattedra.

Ed è probabile che lo ribadisca ancora, in futuro, col rischio di sembrare dogmatico al contrario, se serve.

Lascio fare l’insegnante a chi lo fa già egregiamente, io continuerò nel mio lavoro, nel scendere in campo ed affiancare le persone nei loro salti evolutivi e nei loro importanti risultati.

É quello l’unico modo che conosco con cui probabilmente riuscirò a far scattare qualche insight, perché ho già ricevuto importanti messaggi da persone che leggono ciò che scrivo o mi conoscono per via del mio lavoro che hanno attivato processi trasformativi di valore, con cui hanno concretizzato situazioni che hanno regalato un forte senso esistenziale.

Se questo continuerà ad accadere, avrò raggiunto uno dei miei obiettivi, contribuire ad un contesto sociale con il perfetto equilibrio tra  #takers  e #givers

Se hai mai avuto apprendimenti arrivati da esperienze singolari e ti va di condividerle scrivimi.

Se hai vissuto processi trasformativi che ti hanno coinvolto come protagonista, sarebbe un grandissimo arricchimento se li condividessi.

Alla prossima

Davide

Davide Etzi

Psicologo del lavoro e delle organizzazioni, Economista aziendale, Executive Coach PCC ICF –  Founder di Humanev® (Persone, Processi e Profitti, per esseri Umani ed Evoluti)

Ci vediamo su LinkedIn: https://www.linkedin.com/in/davideetzi/

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *